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La prima volta che ho scoperto di aver toppato con mio figlio

Mi sono sempre lasciata guidare dal buon senso e abbracciavo il concetto racchiuso nella frase “l’istinto materno non sbaglia mai” fino al giorno in cui ho preso tra le mani un libro dal titolo intelligenza emotiva per un figlio scritto dallo psicologo John Gottman.

Il mio istinto materno, di fronte ad una caduta di mio figlio all’epoca duenne, mi spingeva a dire:  “Non piangere, non ti sei fatto niente. Si piange solo quando ci si fa male davvero”.

In occasione di un bisticcio con un suo coetaneo: “Rocco, non ti arrabbiare, hai tanti altri giochi, lascia la moto a Vincenzo. I giochi si condividono”.

Dinanzi alla paura del buio: “Amore, non c’è niente di cui aver paura, basta accendere la luce e il buio non c’è più”.

Ero animata dalle migliori intenzioni.

Ero convinta che sottovalutando il pianto avrei accelerato il superamento della difficoltà. Minimizzando la caduta non si sarebbe focalizzato sul dolore, si sarebbe rialzato in fretta senza piangere e sarebbe diventato più forte.

Anche in merito al gioco credevo di avere un pensiero forbito: quando viene un amichetto a giocare bisogna condividere i giochi e non azzuffarsi per avere lo stesso gioco! (Assurdo per me contendersi lo stesso oggetto visto che ce n’erano milioni di altri a disposizione).

In relazione al buio consideravo che fosse inadeguato averne paura quando si poteva accendere la luce.

Avevo paura di risultare troppo permissiva concedendogli di piangere anche quando non era giustificato.

Temevo che, lasciandolo libero di sfogare le sue emozioni intense, sarebbe cresciuto senza regole, senza una disciplina.

Ero spaventata che potesse arrivare a tenermi in pugno, che potesse comandare lui.

In più per me mio figlio non poteva essere triste, arrabbiato o impaurito visto che aveva tutto. Ambivo che fosse determinato, non fragile e men che meno volevo che fosse capriccioso.

Nonostante i miei interventi a mio dire risolutivi i suoi pianti non scomparivano, anzi. A volte le mie parole accrescevano le sue lacrime e le sue reazioni colleriche dilagavano. Più il suo atteggiamento ostile perdurava, più mi imponevo.

Mi sentivo scoraggiata, insoddisfatta e incapace.

Agivo con la convinzione di rimpicciolire il problema e invece il problema si gonfiava fino ed esplodermi in faccia.

Perché mai? Cosa creava intoppi? Sbagliavo forse io?

Sì, sbagliavo io. Commettevo un errore grossolano. In tre parole: toppavo alla grandissima.

Grazie John Gottman per avermi sapientemente portata per mano a cogliere il sottile passaggio tra quello che io credevo fosse giusto e quello che concretamente lo fosse!

Quando cadeva e piangeva pur non essendosi sbucciato un ginocchio o fratturato un osso si sentiva frustrato per aver fallito, per non esser stato in grado di raggiungere la sedia a cui mirava. Necessitava di consolazione, un dolce bacetto sull’arto battuto per cimentarsi nuovamente nell’intento e raggiungere l’obiettivo.

In occasione di un contrasto con un coetaneo aveva bisogno di ricevere ascolto, provava rabbia. Per lui la moto meritava di essere tra le sue mani, non si capacitava del fatto di doverla cedere senza opporsi.

A proposito del buio è sano e giusto che un bambino ne abbia paura. Nel buio non si vede cosa c’è, chi c’è. Se un bambino non ne avesse il timore si avventurerebbe spensieratamente incappando nei pericoli del mondo.

Liquidando le sue emozioni, le sue paure e le sue tensioni come se fossero prive di importanza, non davo fiducia alle sue percezioni. Il messaggio che gli inviavo era pressappoco: non fidarti delle tue sensazioni/emozioni, fidati delle mie.

Il genitore competente ha l’obbligo di aiutare il proprio figlio ad identificare l’emozione che emerge, darle un nome, convalidarla, fargliela vivere ed accompagnarlo affinché la superi.

Mettendo in pratica le dritte suggerite, ho sperimentato che mio figlio si sentiva compreso e supportato e di conseguenza le crisi di pianto si sono ridimensionate rapidamente.

Al verificarsi di situazioni ad alta intensità emotiva piuttosto che tentare infruttuosamente di sradicare l’emozione negativa, ho cominciato a guardare quei momenti come un’opportunità di intimità tra me e lui. Quale migliore occasione se non quella di forte bollore emozionale per trasmettere un insegnamento fecondo?

Così facendo la qualità della nostra vita si è decisamente elevata.

Studi specifici confermano che l’atto di identificare un’emozione genera un effetto calmante nel sistema nervoso del bambino. Il sistema nervoso cambia chimica favorendo il superamento del turbamento.

Questo processo concorre allo sviluppo dell’intelligenza emotiva del bambino che, crescendo, imparerà a leggersi da solo e, con gli anni, elaborerà una soluzione in modo autonomo per uscire dal vicolo cieco in cui staziona.

Più il bambino prova rabbia, paura, tristezza più ha bisogno che il genitore lo aiuti ad avere contezza dell’emozione che sta provando.

Più volte attraverserà in maniera piena l’emozione ardente, più apprenderà il meccanismo per superarla.

Più sarà consapevole e padrone delle sue emozioni da adulto più sarà di tempra forte e disporrà di una robusta autostima.

Sta a noi decidere se crescere figli emotivamente intelligenti o figli in balia delle loro emozioni.

Tu da che parte vuoi essere?

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8 Commenti

  • giusy

    ciao magda ho letto il tuo articolo sulle paure e insicurezze dei nostri figli. mio figlio ha sei anni ed è molto pauroso e piagnucolone e per me questo lo considero mancanza di carattere e credo che ne paghera le conseguenze da grande. ora leggendo le tue parole ho capito che si può aiutarli a superare. puoi spiegarmi meglio come fare ? grazie

    25 Febbraio 2018 at 12:22 Reply
    • Magda Braia

      Ciao Giusy,
      fammi qualche esempio di vita quotidiana durante il quale tuo figlio manifesta paura e la reazione tua di fronte a tali esternazioni.

      25 Febbraio 2018 at 16:45 Reply
  • Manuela

    Ciao Magda complimenti per l articolo sempre molto interessante. Come consigli di affrontare un pianto causato da un gioco conteso tra fratelli o coetanei?

    25 Febbraio 2018 at 16:57 Reply
    • Magda Braia

      Ciao Manuela.
      E’ innanzitutto importante riconoscere la sconfitta, il dispiacere, la rabbia che subentra quando un fratello o un coetaneo toglie l’oggetto di mano o non lo cede. Quindi dire tipo: “ti vedo dispiaciuto. Cosa succede?” e lasciarlo parlare. Già questo quieta gli animi.

      25 Febbraio 2018 at 20:33 Reply
  • Benedetta Burgi

    Ottimo articolo, grazie per questi piccoli ma importanti consigli, correrò a comprare anch’io questo libro perché a volte mia figlia ho difficoltà a gestire questi suoi pianti e atteggiamenti.

    25 Febbraio 2018 at 21:07 Reply
    • Magda Braia

      Ciao Benedetta, grazie per il feedback.
      Il libro intelligenza emotiva per un figlio è molto carino. Se divori i libri ti consiglio di leggere anche il libro che dà strumenti pratici per aiutare il genitore ad intervenire nel rispetto delle emozioni del proprio figlio che si chiama “come parlare perchè i bambini ti ascoltino & come parlare perchè ti parlino” di Adele Faber e Elaine Mazlish.

      27 Febbraio 2018 at 10:17 Reply
  • Maria Rosaria

    Grande Magda,ho letto i tuoi eccellenti articoli

    4 Marzo 2018 at 07:07 Reply
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