Ultimamente mi incanto a guardare le mamme, per la seconda volta incinte, che trascinano il loro corpo e trasportano il loro pancione tenendo per mano il loro primogenito.
Torno indietro nel tempo.
All’epoca avevo circa 20 kg in più, sentivo la pesantezza alle gambe, ero lenta, impacciata nei movimenti e mi sentivo un’ippopotamina cicciosa.
Nonostante l’affaticamento e il sovrappeso facevo di tutto per non trascurare Rocco che aveva 3 anni.
Tra i momenti più complicati da gestire ricordo quando, nell’ultimo mese, si avvicendavano le contrazioni e mio figlio voleva essere preso in braccio. Quando eravamo in casa era più semplice. Bastava sedermi, adagiarlo sulle mie gambe e abbracciarlo forte.
Quando eravamo fuori casa ed era stanco, c’erano da salire le scale e voleva il mio aiuto per salirle me lo rendevo complice dicendo che non vedevo l’ora che nascesse la sorellina per ritrovare l’agilità e riprenderlo in braccio. Parlando parlando lo distraevo avanzando su per i gradini.
Non rimarcavo il fatto che non potessi prenderlo in braccio per il pancione, quindi per la presenza della sorellina al suo interno. Piuttosto dicevo che, grazie alla nascita della sorellina, l’avrei ripreso in braccio. Un cambio di prospettiva molto efficace.
Nell’ultimo trimestre più e più volte pensavo al giorno della mia assenza per il ricovero in ospedale e mi sentivo inquieta. Rocco si addormentava con me la sera. Come avrebbe fatto senza di me?
Condividendo con mio marito questa apprensione, di comune accordo, abbiamo optato per un cambio della guardia: dal nono mese in poi Rocco si sarebbe addormentato con lui. C’era bisogno che Rocco si abituasse anche alle braccia del suo papà. Sarebbe stato il suo punto di riferimento di lì ai mesi successivi. Il tutto senza sovraccaricare troppo di significato il cambiamento. Sennò l’avrebbe potuta vivere come un’esclusione quando era una nuova ricchezza.
Questa esperienza ha fatto bene a tutti: io potevo decidere di andare a dormire quando ne sentivo il bisogno. Mio marito si sentiva importante per Rocco e utile per la famiglia. Rocco si sentiva accudito anche dalla figura paterna la sera.
Un’altra cosa che ho fatto nelle ultime settimane di gestazione è stata quella di mostrare a Rocco le foto e i video dei suoi primi mesi di vita. “Amore, guarda com’eri piccino. Dormivi tanto, ti nutrivi bevendo il latte dal seno di mamma, non camminavi, avevi bisogno di calore, ti tenevamo in braccio, non sapevi parlare come sai fare adesso e per esprimerti piangevi. Sai, la sorellina farà così. Piangerà spesso ogni volta che vorrà qualcosa: mangiare, dormire, essere tenuta in braccio”.
Mi ero preoccupata di pensare anche al primo incontro tra i neo fratellini. Volevo che nella stanza ci fossimo soltanto io, Rocco, mio marito ed Emanuela. Emanuela sarebbe stata nel lettino o in braccio, non attaccata al seno. Almeno la prima volta.
Così è andata.
Abbiamo chiesto candidamente ai familiari di aspettare fuori qualche minuto.
Desideravo che le presentazioni avvenissero senza spettatori.
Non volevo che qualcuno, seppure animato dalle migliori intenzioni, intervenisse dicendo: questa è la tua sorellina, ti piace? Le devi volere bene, la devi proteggere…
Non bisogna aspettarsi troppo da un bimbo di tre anni. Non perché fosse arrivata una piccolina nella nostra vita Rocco sarebbe diventato grande all’improvviso.
Ad un bambino di tre anni che non ha ben chiaro il mistero della vita, che si vede sparire la madre per una notte intera e che la ritrova in un ospedale con una nuova creatura ancora estranea in braccio non gli si può chiedere una cosa del genere.
Lasciamo che i nostri figli restino bambini anche quando diventano fratelli maggiori.
Con l’arrivo di Emanuela si sono inevitabilmente rotti gli equilibri esistenti. Con i cocci frantumati, l’aggiunta di nuovi e un’opera di restauro laboriosa abbiamo ristrutturato e ripristinando l’armonia familiare.
Per fare spazio al nuovo a volte bisogna lasciare o far crollare il vecchio, poi ricostruire.